mercoledì 30 aprile 2008

Sinistra non ti vedo

Dice Crozza, il grande Crozza, che il problema non è che la sinistra non ascolta la gente, ma che è la gente che non ascolta più la sinistra. Io non so bene cosa intenda dire Crozza. Ma la mia idea è che la gente, i cittadini come ci piace chiamarla (la gente) a noi di sinistra, non ha bisogno di una copia poco piu moderata delle idee di destra.
La sicurezza per esempio. Ecco, la destra dice: cacciamo i migranti clandestini, stringiamo le maglie del controllo e presidiamo le città. Ammesso e non concesso che la sicurezza sia davvero l'emergenza del momento (io personalmente non ci credo neanche un po'), quale deve essere l'atteggiamento della sinistra?
Per me, ed è per questo che la voto, la sinistra dovrebbe offrire una alternativa radicalemente diversa a quella ricettina inutile e irrealizzabile di Bossi e Co. Dovrebbe saper spiegare giorno dopo giorno il fenomeno dell'immigrazione, dire alla gente che il 99% dei migranti vengono qui per lavorare (allevare i nostri figli, badare i nostri vecchi, costruire le nostre case..), dire loro che la povertà genera microdelinquenaza, dire loro che questi vengono per mangiare o per fuggire dalla guerra ( spesso le nostre guerre), dire loro che il problema non si risolve cacciando tutti i clandestini (cosa irrealizzabile nei fatti) ma investendo nelle politiche e nelle strutture di accoglienza. Sennò che cazzo di sinistra è. Non è che per difendere i penultimi (la gente), noi dobbiamo accanirci con gli ultimi ( i migranti)...

sabato 26 aprile 2008

Veline svelate



Al casting per entrare a far parte del programma "Striscia la notizia". Il sogno nel cassetto? Fare successo in tv

«La cipria, dove cazzo sta la cipriaaaa?».«Calmati Isa - risponde mamma Giulia - la cipria ce l'ha tua sorella».«Elenaaa, la cipria. Non posso presentarmi co 'sta faccia».Nel frattempo arriva una giornalista con telecamera al seguito. «Scusami - dice rivolta a Isa - posso farti qualche domanda?».Lei si volta, si accorge che quella telecamera è puntata proprio su di lei, e nel giro di un millisecondo trasforma quel volto teso ed imbronciato in uno splendido sorriso a trentadue denti. Dopo le domande di routine - «chi sei, come mai sei qui, quanti anni hai e sogno nel cassetto» - il cameraman le chiede due passi di danza ed un gridolino di felicità «che fa tanto aspirante velina». Isa non ci pensa neanche un attimo: parte con una samba in salsa romanesca che farebbe invidia all'intero Stato di Bahia e butta lì un "gridolino" degno della ragazza Playboy del mese: «Yupiiii».E' il casting di Veline che si è svolto ieri a Roma. Una selezione nazionale per decidere chi sarà la prossima fortunatissima ragazzina che sculetterà sul banco dei conduttori della nota trasmissione di Antonio Ricci. E poi da lì, chissà che non si riesca a fare il grande salto: diventare valletta di Controcampo o, meglio ancora, "letterina" da Gerri Scotti.L'organizzazione allestita dalla direzione di TalentsFactory di Mediaset è ferrea: prima si passa per una stanza in cui si danno le generalità: nome, cognome ed età; poi è la volta della foto con tanto di numeretto appeso al collo - «Profilo destro, ora sinistro. Guarda la camera. Su i capelli, un bel sorriso. Bene. Grazie. Avanti un'altra». Infine, via in camerino per prepararsi all'esibizione sul palco e mostrare il proprio talento.E sì perché, almeno a sentire Enrico De Angelini, coordinatore di tutto il baraccone, le caratteristiche irrinunciabili della velina ideale devono essere tre: «Talento, semplicità e umiltà». Talento, semplicità e umiltà, d'accordo. E poi? «Beh, non solo quello, certo - ammette De Angelini - serve anche una certa presenza...» Una presenza in che senso? «Beh una bella presenza, è chiaro».Nel frattempo inizia la sfilata, e a suffragare le parole di De Angelini si presenta Laura, 21 anni, provincia Brindisi: 175 cm circa, pelle color ambra, occhi azzurri e fisico da modella valorizzato da un tanga, per così dire, essenziale. Laura chiarisce subito il senso della sua presenza: «Ho fatto miss Italia ma non credo di essere riuscita ad esprimere tutta la mia personalità. Spero di entrare in Veline in Tour per riuscire a far capire al pubblico italiano chi sono davvero».De Angelini annuisce soddisfatto e chiede subito una prova visibile di quella personalità: «Bene Laura, appena parte la base dello "stacchetto" musicale di Striscia, dovresti iniziare a ballare come se ti trovassi accanto a Ezio Greggio». «Lei è Laura Giglio», spiega un ragazzo biondino seduto in platea. «Laura fa parte del mio gruppo di giovane talenti. Siamo partiti da Brindisi alle 4 di notte per essere qui. Laura è speciale, ne vale la pena».Nel frattempo, mentre la selezione va avanti, intorno al palco in cui si esibiscono le aspiranti veline si è generato un vero e proprio bazar dello spettacolo. Un circo Barnum fatto di stand per aspiranti attori, scuole di recitazione, scuole di musica, di ballo e via dicendo. Una fiera delle vanità in cui si aggira un sottobosco di manager di provincia in cerca del cavallo vincente, quello che può "svoltare" una carriera e farti entrare nel giro giusto. Il giro che conta.Tra loro c'è Antony, anzi, Anthony con l'acca al centro: completo gessato nero e cravattino slegato che scende leggero lungo una camicia immacolata. Lui è un fotografo calendarista. Difficile resistere al richiamo del calendario, per questo Anthony con l'acca al centro, diventa un punto di passaggio quasi obbligato per tutte le aspiranti veline. «Vedi - spiega a Sonia - io ti faccio un paio di foto e un piccolo filmino. Cerchiamo ragazze sensuali e ironiche, ragazze che stanno al gioco».Poco più un là, un uomo piuttosto corpulento, e sua figlia, una giovane piuttosto procace, si avvicinano allo stand di una sedicente scuola di cinema e chiedono la strada migliore per fare un provino: «Perchè io - dice l'omone - credo che mia figlia abbia le doti giuste per sfondare». Il ragazzo annuisce vistosamente, è uno che la sa lunga lui, e inizia con le "dritte": «Prima di tutto serve un book fotografico con varie pose: una foto in abito da sera, una acqua e sapone ed una in costume. Poi un paio di primi piani...». «Scusi - chiede il padre - ma una scuola di recitazione?» «Certo, certo - ride lui - quello era scontato».Ma sul palco - il centro di tutto il baraccone - la selezione delle veline continua. C'è Giulia, «protagonista di alcuni fotoromanzi e modella della pelletteria Macrì di Bari»; poi Sara, «22 anni, miss Ostia nel 2006 e ballerina di Hip-hop» e Claudia, «cubista in riviera, studentessa del terzo anno di giurisprudenza e modella per abiti da sposa». Per tutte, la stessa cerimonia: come ti chiami, da dove vieni, esperienze passate. Poi una piccola sfilata, lato A e lato B, un sorriso, e un balletto con il solito "stacchetto" di Striscia la notizia .In platea c'è un esercito di mamme, sorelle, fidanzati, amici e amiche che fanno il tifo e commentano - commentano scannerizzandola - ogni concorrente che passa su quel palco; «Quella lì? Ma no, c'ha il culo troppo basso». E le altre? «Capelli secchi», «sgraziata», «ma chi gli ha insegnato a ballà», «troppe tette», «poche tette»...C'è anche la mamma di Claudia: «Io - dice con una videofotocamera appesa al collo - sono convinta che mia figlia ce la farà. E' la seconda volta che ci proviamo, stavolta ce la farà».Tutt'intorno a quel palco c'è Roma. Forse la stessa Roma rappresenta da Luchino Visconti e Anna Magnani in Bellissima . Certo, è una Roma con qualche ruga di meno, nascosta com'è dal fondo tinta delle nuove luci della ribalta. Ma è sempre quella Roma lì: ambiziosa, disperata e un po' cialtrona. Quello che manca, forse, è proprio un Visconti e una Magnani che le strappi quella maschera di dosso.

venerdì 4 aprile 2008

Ecchesaràmai


Leggo, stupito, l'indignazione di fronte alle uova lanciate contro Giuliano Ferrara a Bologna. Dal centrosinistra alla sinistra cosiddetta radicale, tutti hanno difeso il diritto ad esprimersi del difensore della vita prima della vita. Ma non si ricordano lorsignori di quando il giulianone rotolava dalla scale di Valle Giulia dove, verosimilmente, ebbe a lanciare qualcosa di più di un uovo? Oppure il nostro s'è arrabbiato perchè anche un uovo di gallina è una vita in embrione?
Insomma, vedo questi cinquantenni - gli stessi che da ventenni hanno animato le piazze italiane con modi di certo più decisi - sempre più sclerotizzati e perbenisti anche di fronte ad una contestazione che mi è sembrata più goliardica che violenta...

martedì 1 aprile 2008

«Io medico di strada, vi racconto le vere schifezze dell'Italia»


Cinecittà, periferia sud di Roma. Una piazza. Al centro della piazza un container colorato e una scritta: «Ambulatorio medico». Dentro, un uomo seduto dietro una piccola scrivania rimediata chissà dove e una borsa, una borsetta logora da medico della mutua. L'uomo, illuminato da una luce al neon appoggiata al muro, si chiama Antonio Calabrò, il dottor Antonio Calabrò. «Che ci faccio qui? Faccio solo il mio lavoro, cerco di guarire e assistere chi si ammala».
In realtà nessuno ha chiesto mai ad Antonio Calabrò di piazzarsi lì. Nessuno lo paga - il suo lavoro di medico è al Fatebenefratelli - e solo qualcuno lo aiuta. Di certo non lo aiuta l'Acea, la multinazionale che si occupa di fornire luce e acqua ai cittadini romani ma che ha deciso di lasciare senza elettricità questo medico di frontiera. Un dimenticanza? Forse sì, in fin dei conti i suoi pazienti non valgono molto: sono rom, romeni, polacchi e tutta quella umanità varia che si aggira nelle metropoli del Belpaese. Un popolo di invisibili, di fantasmi che ogni santo giorno che Dio manda in terra cerca di sbarcare il lunario per rimediare un pasto, un posto caldo dove passare la notte e, quando la situazione è particolarmente grave, un medico.
«Sono stati giorni molto pesanti - racconta il dottor Calabrò -. Il sindaco ha deciso di far sgomberare le baracche di Tor Bella Monaca e centinaia di persone, soprattutto donne incinta e bambini, hanno passato questo week-end di Pasqua sotto la pioggia». Risultato del blitz? «L'ambulatorio è stato invaso da ragazzini con problemi respiratori anche gravi». E sì, a Roma ultimamente funziona così. La polizia arriva a sirene spiegate e loro, i fantasmi che arrivano dall'Est e dal Sud del mondo, scappano come bestie, bestie braccate dai manganelli delle forze dell'ordine. Una fuga disperata verso le campagne di Roma: Vermicino, Tor Vergata, Frascati...
Poi la polizia se ne va e loro possono tornare a rimettere in piedi le baracche sventrate dalle ruspe della Repubblica italiana. Fatto sta che questa santa pasqua il dottor Calabrò l'ha passata a curare le bronchiti di quei «poveri cristi».
E di Cristo il dottore ha un'idea molto chiara, quasi intima: «Lui è nato, è vissuto ed è morto in mezzo alla strada, al fianco degli ultimi, dei disperati. Per me - aggiunge poi - il vangelo è questo». Lunga storia quella del dottor Calabrò: «Sono nato lì - dice indicando l'enorme struttura dei salesiani della Tuscolana - Sono cresciuto e mi sono formato sui libri dei teologi della liberazione. A quel tempo i preti ci facevano imparare a memoria "La pedagogia degli oppressi" di Paulo Freire». Sarà per questo che il dottor Calabrò si ostina a pensare che Cristo è soprattutto lì, tra le baracche di Cinecittà: «Paradossalmente - dice - bisogna scendere all'inferno per riscoprire e ritrovare Gesù Cristo».
D'improvviso arriva la signora Carmela: «Dottore - chiede concitata - ce li ha i risultati delle analisi del ragazzo di ieri?». «Sì, credo che siano pronte, ma ho bisogno del nome e cognome», risponde lui. «Nome e cognome? E chi se lo ricorda. Lo sai quanti ce ne ho di questi qui? Non posso ricordarmi tutti i nomi». La signora Carmela è un'altra volontaria che ogni giorno offre un pasto caldo a chi ne ha bisogno, gli lava i panni e organizza le visite mediche, le spedizioni dal dottor Calabrò. «E' stato un periodo davvero difficile - dice ancora la signora Carmela - dal giorno dell'assassinio della signora Reggiani - la donna aggredita e uccisa a Ponte Milvio da un rumeno - si è creato un clima da caccia alle streghe. Questi qui - sbotta poi - sono esseri umani, essere umani come noi».
«Il problema - fa eco il dottor Calabrò - è che se non diamo un volto a questi disperati, se non ci rendiamo conto che dietro la parola rom, rumeno o extracomunitario c'è un uomo in carne ed ossa, non cambierà mai nulla. Per questo le persone tollerano, tollerano senza muovere un dito, le truppe cammellate di Veltroni che sgombrano i campi e le baraccopoli. Nessuno pensa davvero che dentro quelle baracche vivono donne, uomini e bambini in carne e ossa».
Fatto sta che la presenza della signora Carmela rende bene l'idea della rete che si muove intorno al dottor Calabrò. Una rete di solidarietà che si alimenta grazie alla radicalità, la radicalità vera e vissuta ogni giorno nelle strade di questa Roma. «Quando immanenza e trascendenza si incontrano - spiega sorridendo il dottore - si possono fare miracoli veri». Già, miracoli. Come quella volta che hanno salvato una giovane rom di 28 anni alla sua settima gravidanza. «Aveva subito il distacco della placenta. Rischiava davvero di morire. Le ambulanze non si trovavano, allora ho spedito mia figlia che è andata al campo, l'ha caricata in macchina e me l'ha portata in ospedale dove era pronta la sala operatoria. L'abbiamo salvata per il rotto della cuffia».
Poi la politica. E sì perchè grazie alle insistenze di Sandro Medici, presidente del municipio, il dottor Calabrò ha deciso di candidarsi nelle liste della Sinistra Arcobaleno. «Una decisione sofferta - ammette sorridendo - ho dovuto chiedere permesso a Padre Zanotelli, uno che ha trovato Cristo nell'inferno di Korogocho, perchè tra noi c'era la promessa di non entrare in politica per nessuna ragione». «Nulla a che vedere con Grillo, sia chiaro», specifica poi. «Io alla politica, la politica con la P maiuscola ci credo eccome. E' ai partiti, a quello che è rimasto dei partiti che non credo».
«Come mai la politica allontana persone come Antonio Calabrò? Me lo chiedo anch'io - ammette Sandro Medici - Certo è che se la politica si riduce alla gestione tecnica del territorio, se non riesce a trasmettere valori dando spazio a queste esperienze, il problema è dei partiti e non di queste persone che fanno scelte così radicali e totalizzanti».
Fatto sta che alla fine il dottor Calabrò si è convinto a provare la strada della politica: «Ho chiesto a Sandro di potermi occupare dei giovani. E' da lì che bisogna ricominciare per dare una speranza a questo Paese. Io ho cinque figli e so come diavolo vivono i ragazzi. Sono solo tubi digerenti. Non c'è nessuno che li prende per mano e gli sbatte in faccia la realtà del mondo vero. Le parrocchie sono vuote e le sezioni del Pci chiuse per sempre. Chi si occupa di loro? La televisione?».
E se gli chiedi del suo programma elettorale, il dottor Calabrò tira fuori un documento logoro dalla sua borsetta. «Vedi? - dice soddisfatto - questo è un documento che ho scritto insieme a padre Zanotelli e don Andrea Santoro. Si chiama "La Politica che vogliamo"». Un documento che sa guardare lontano, che vola alto ma che vuole agire nei singoli territori: «Ci sentiamo lontani da quelle scelte politiche che in questi anni hanno reso ancora più evidenti le logiche militariste e di guerra, le privatizzazioni dei beni comuni, la discriminazione e l'intolleranza verso immigrati e stranieri, la precarizzazione del lavoro». Ed ancora: «Il nostro Paese vive un declino politico economico, sociale e culturale che è frutto della palese incapacità delle classi dirigenti in ogni campo della società (la politica, l'economia, la cultura e i media) di dare risposte innovative, e centrate sul principio della solidarietà, della responsabilità, della cultura civile, alle sfide ed emergenze che viviamo».
«Dobbiamo lavorare tutti insieme, a partire dalle persone, i piccoli gruppi, reti, comitati, iniziative locali, unire le forze subito e darci un ?programma minimo? assicurando centralità alle mobilitazioni locali per i beni comuni e contro le grandi opere, la devastazione del territorio, le basi militari, nello spirito del movimento di Genova, e rilanciare le nuove forme della democrazia partecipata e deliberativa e contro ogni collateralismo o cooptazione subalterna nelle istituzioni - la proposta di una autonoma identità politica delle soggettività sociali e dei movimenti».
Nel frattempo scende la sera. E' arrivata l'ora di chiudere l'ambulatorio. Poco distante campeggia una ciotola piena di polpette e di latte. «Sono le gattare - spega il dottor Calabrò - Cucinano ogni ben di Dio per gli animali del quartiere. Se al posto dei gatti c'era qualche migrante poteva anche morire di fame».