Sey gay? La Chiesa fa i corsi clandestini di riabilitazione
Dall'inchiesta di Davide Varì del quotidiano "Liberazione":
L'appuntamento è con Don Giacomo nella sede delle edizioni Paoline poco lontano dalla Garbatella, ex quartiere popolare di Roma. Un incontro per definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per guarire dall'omosessualità. Un appuntamento sudato: i sedicenti guaritori di gay, almeno in Italia, non vogliono troppa pubblicità. Per rintracciare quello italiano ho dovuto chiamare un gruppo omologo svizzero che mi ha girato la sede milanese di "Obiettivo Chaire", un'associazione ultracattolica che organizza, sì, incontri terapeutici, ma soltanto a Milano. Alla fine mi indicano Don Giacomo qui a Roma, un giovane prelato che, dicono loro, può aiutarmi. E ora, dopo quel lungo peregrinare, ci sono: finalmente sono di fronte allo studio di Don Giacomo. La prima tappa del mio percorso di "guarigione". Un percorso durato circa sei mesi nei quali mi sono ritrovato immerso in un mondo parallelo fatto di reticenze, mezze verità, ambiguità e strane alleanze tra ambienti del Vaticano e alcuni gruppi di psicologi guidati dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana.
Ma prima c'è don Giacomo, il primo livello di valutazione della "gravità del paziente" spetta infatti a lui, a un rappresentante della Chiesa cattolica. Don Giacomo è gentile. Dopo vari colloqui telefonici nei quali, con molta discrezione e molto tatto, mi chiede i motivi che mi spingono verso questa terapia, arriva il momento dell'incontro. Dopo una breve presentazione, inizia il colloquio vero e proprio.
Le domande fondamentali sono due o tre: quanti rapporti omosessuali ho consumato, con quale frequenza e le sensazioni che ho provato. Gli racconto quasi tutta la verità, tutta tranne il fatto che sono un giornalista e che non sono omosessuale. Gli dico che sono sposato, che ho un bambina e butto lì un paio di esperienze omosessuali legate alla mia adolescenza e la preoccupazione che quelle esperienze possano tornare a galla e rovinare il mio matrimonio. Don Giacomo ascolta con partecipazione. Poi inizia il lavoro d'indagine per capire le ragioni della mia omosessualità. Mi chiede dei miei genitori, del rapporto con mia madre - rispetto alla quale tiro fuori un bel conflitto. Fa sempre bene, penso: ai preti e agli psicologi piace - gli racconto del ruolo marginale di mio padre, dei rapporti sessuali con mia moglie, le relazioni interpersonali e così via. Una scannerizzazione superficiale ma completa del mio vissuto.
Poi la domanda: «Quando è stata la prima volta, Davide», mi chiede Don Giacomo. Gli racconto di un mio compagno di liceo, di tale Luca, col quale ero molto amico e di come quell'amicizia, col tempo e in modo del tutto inaspettato, si fosse trasformata in relazione sessuale. Don Giacomo ascolta con attenzione e partecipazione. Mi vede provato e cambia discorso: «Credi in Dio?» mi chiede. Io rispondo che provengo da una famiglia molto religiosa ma che no, non ho mai praticato. Ma ultimamente, aggiungo, sento rinascere in me qualcosa di diverso. È il momento più delicato, il momento in cui bisogna scegliere se andare fino in fondo passando sopra le sincere convinzioni religiose di Don Giacomo, oppure finirla lì e andarsene.
E' come se mi prendessi gioco della sua fede, e forse nessuno mi da il diritto di arrivare fino a quel punto. Poi mi convinco che nella realtà quotidiana questi "guaritori di omosessuali" fanno solo danni: prendono una persona, nella gran parte dei casi spinta dalla famiglia, gli raccontano che la propria omosessualità è una deviazione dalla norma e la invitano a intraprendere, con loro, un percorso di guarigione, anzi, di "riparazione". Ed allora decido di andare avanti e raccolgo l'appello di Don Giacomo: «Preghiamo».
Mi forzo, e da ateo convinto prego con lui. Finito il momento di raccoglimento Don Giacomo, con la stessa delicatezza, mi invita a continuare il mio racconto. «La tua relazione con Luca - mi dice - è stata passiva o solo attiva?». Don Giacomo vuol sapere se ho «subito» oppure no una penetrazione. Deve essere solo quello il discrimine fondamentale per capire se davanti a sé c'è un vero omosessuale. «Attivo e passivo», dico di botto. «E mi è anche piaciuto», rispondo quasi in senso di sfida, di fronte a quella domanda così volgare. Volgare non per la cosa in sé, quanto, piuttosto perchè per la prima volta inizio a intravedere, o almeno così mi sembra, i veri pensieri di quel prete così giovane e cordiale. Uno squarcio che smaschera il giudizio che ha di me, anzi, di "quelli come me".
Don Giacomo annuisce in modo austero e poi mi chiede di parlargli degli altri rapporti. A quel punto tiro fuori una relazione fugace con un altro ragazzo "consumata" dopo il matrimonio. Don Giacomo mi invita a raccontare le sensazioni che avevo provato. Io mi invento un «senso di sporcizia morale» che vivo e mi porto dentro tuttora. Il giovane prete è silenzioso. Mi benedice e mi tranquillizza. «La tua omosessualità - dice - è molto superficiale. Io credo che tu sia pronto per iniziare il percorso di guarigione».
A quel punto sono io che faccio qualche domanda e chiedo lumi su quello che lui chiama "percorso". Don Giacomo, grosso modo, mi spiega che quasi tutti gli omosessuali hanno subito un trauma o qualcosa del genere che ha interrotto la "naturale" costruzione della vera identità sessuale. «Per questo - dice - servono terapie riparative. Per riprendere in mano quel vissuto, trovare la frattura e ridefinire la propria identità di genere. Tu sei in uno stato di confusione sessuale, devi farti aiutare per ridefinire la tua sessualità in modo corretto». Perfetto, sono pronto per iniziare il "percorso". Don Giacomo prende un pezzo di carta e scrive telefono e indirizzo del Professor Tonino Cantelmi, «chiamalo tra una settimana, digli che ti mando io, lui saprà già tutto». Mi benedice e mi congeda.
***
Il primo incontro con il professor Cantelmi
Lo studio del professor Tonino Cantelmi - Presidente dell'Istituto di Terapia Cognitivo interpersonale, c'è scritto nella targhetta - è un porto di mare nel quale transitano e approdano le preoccupazioni e le angosce di varia umanità: ragazzini, adolescenti, mamme, nonne. C'è di tutto in quello studio. Io mi accomodo e attendo di essere chiamato. Lui, il professore, ogni tanto esce e saluta il paziente di turno. Con tutti ha un rapporto molto confidenziale, tutti lo chiamano Tonino. Finalmente arriva il mio momento. Raccolgo le idee per evitare di contraddirmi rispetto alla storia che ho raccontato a Don Giacomo qualche settimana prima. Ripasso lo schema, i nomi inventati dei miei falsi amanti e mi infilo nello studio del Professore. Lui mi squadra, mi sorride e mi fa accomodare. «Sono Davide, gli dico, mi manda Don Giacomo». Lui annuisce - «con quel nome mi ha inserito nella categoria omosessuale pentito», penso tra me - e mi invita a raccontare la mia storia. A quel punto riparto con la vicenda del Liceo, della mia relazione col mio compagno di banco e dei timori rispetto al mio matrimonio dopo un'altra relazione avuta con un ragazzo un paio d'anni fa.
«Che tipo di rapporti hai avuto?», mi chiede Cantelmi.
Io faccio finta di non capire.
«Voglio dire - continua il Professore - hai avuto rapporti completi?».
Annuisco, ma aspetto che il professore esca dalla sua tana e mi ponga la domanda, la domanda con la D maiuscola, in modo diretto. E lui non mi delude: «Insomma Davide - mi dice schietto - sei stato anche passivo nei tuoi rapporti?».
Ci risiamo, penso tra me. «Sì», rispondo. Decido di fare la parte del laconico. Da un lato perchè ho paura di contraddirmi, dall'altro perchè voglio vedere le abilità del professore in azione. Son curioso di capire in che modo si muove. Come lavora. Ma lui mi sorprende e dopo quell'unica risposta, pronto a sbarazzarsi di me, prende carta e penna e scrive il nome di una collega: «Lei è la dottoressa Cacace - mi dice mentre mi porge il bigliettino - è una mia assistente, contattala a mio nome. Lei saprà già tutto». Mi sembra di rivedere un film già visto. Comunque io non voglio perdere l'occasione di ritrovarmi di fronte al "guru" italiano dei guaritori di gay e allora rilancio prima che lui mi liquidi. «Senta dottore - gli dico con il massimo di gentilezza - io vorrei capire di preciso cosa mi aspetta». «Nulla di particolare - fa lui - la dottoressa ti farà un test..»
«Un test?», faccio eco io
«Sì, un test»
«Un test per misurare il mio grado di omosessualità?», incalzo.
«Beh! In un certo senso sì», fa lui.
«Scusi - gli chiedo - ma cos'è di preciso l'omosessualità?»
A quel punto Cantelmi si accomoda, allunga le braccia sul tavolo e comincia: «Io - esordisce - parlerei della tua omosessualità, non di omosessualità in genere. Diciamo che noi siamo un gruppo di psicologi che cercano di aiutare persone in difficoltà. La nostra è una terapia riparativa»
***
La terapia riparativa: l'omosessualità come il comunismo
Si sentiva parlare da tempo di questi taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa, e che segue l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi, presidente della Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality. Uno psicologo clinico, questo Joseph Nicolosi, un "santone" che vanta ben 500 casi di «gay trattati» e curati - proprio così, «gay trattati» - e che ha tirato fuori dal cilindro della propria stregoneria psichiatrica la cosiddetta "terapia riparativa" il cui scopo dichiarato è quello di «ricondurre all'orientamento eterosessuale le persone omosessuali». Un messaggio che in Italia è stato ripreso e rilanciato dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana. Insomma, il guru italiano della terapia riparativa, una persona legata a doppio nodo al Vaticano e intorno al quale è nato un gruppo di lavoro formato da cinque, sei giovani psicologi che seguono le terapie individuali dei futuri e "riparati" eterosessuali.
Questa della terapia riparativa è storia antica. Già nel 2005, la rivista Gay Pride pubblicò un lungo articolo nel quale ne metteva in dubbio ogni validità e attendibilità scientifica. Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, presentò anche un'interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Anche per questo uno come J.M. van den Aardweg, lo psicoterapeuta americano che ha scritto "Omosessualità & speranza", parla di lobby gay all'assalto della scientificità. Tanto per capire cosa si muove dietro questa presunta terapia riparativa, lo stesso van den Aardweg sostiene - lo ha fatto in una recente intervista per "Acquaviva2000, cultura cattolica in rete" - che molti omosessuali «presentano seri disturbi mentali, o hanno sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non sarebbe tanto sbagliato chiamarli "malati"». Non solo, van den Aardweg è convinto che per colpa del movimento gay, «le masse non assimileranno mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta. Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno all'innaturale "religione" omosessuale un culto formale, dettatogli dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno».
Questi sono gli illustri scienziati che sponsorizzano la terapia riparativa. Ancora più esplicite le parole d'ordine del già citato gruppo ultracattolico "Obiettivo Chaire": «Accompagnamento spirituale, psicologico e medico; attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di prevenire l'insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani; ricerca delle cause(spirituali, psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla ragione rettamente formata».
Poi l'immancabile Joseph Nicolosi, lo psicologo-clinico americano che ha inventato la terapia riparativa. A giorni sarà in Italia per aggiornare i suoi seguaci e illustrare loro, verosimilmente, le ultime novità della sua terapia. Queste le idee di fondo: primo, alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia ideale per favorire un sano sviluppo del bambino è il modello tradizionale di matrimonio eterosessuale; secondo, l'identità sessuale si forma in un'età precoce sulla base di " fattori biologici, psicologici e sociali"; terzo, esistono numerosi esempi di persone che sono riuscite a cambiare il loro comportamento, identità, stimoli o fantasie sessuali.
A sostegno di queste tesi sono nati i movimenti "ex-gay", persone "riparate" e spesso convertite al cattolicesimo che hanno lo scopo dichiarato di dimostrare che dall'omosessualità è possibile "guarire". Il bello della faccenda è che sempre più gruppi di "ex gay" vengono sciolti per il fatto che molti associati hanno ri-trovato un partner dello stesso sesso proprio in quell'organizzazione.
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La terapia riparativa di Cantelmi
Cantelmi cerca di adattare su di me, sul mio caso, le ragioni di quella terapia. Parla di traumi infantili che generano confusione in un mondo già pieno di contraddizioni e di liquidità nei rapporti interpersonali. Il tutto per spiegare che in un certo senso i comportamenti della persona omosessualità sono indotti da questa schizofrenia esterna. Non solo omosessuali però. Il professor Cantelmi è infatti convinto, e me lo spiega, che la nostra epoca è caratterizzata da una grossa compulsività sessuale: una dipendenza che colpisce migliaia di persone e tra questi tanti, tantissimi giovani. Mi parla di «relazioni malate con il sesso», di «perdita di controllo» e così via.
«E in tutto questo, l'omosessualità?», chiedo io.
«Beh, il mio studio è pieno. Abbiamo la fila. Ci sono centinaia di ragazzi che chiedono aiuto».
«Vede - dico cercando di stanarlo - io non so bene se sono omosessuale. Non capisco se sono vittima di una sorta di disagio psichico o se devo assecondare queste mie pulsioni».
«Non preoccuparti Davide - mi dice sereno e sorridente - dal tuo profilo mi sembra di poter parlare di una ansia generalizzata e di una leggera nevrosi che in qualche modo condiziona e devia le tue scelte sessuali. Ora faremo il test e avremo più elementi per poter scegliere la terapia migliore».
***
Il Test ed i discepoli del professore e la cura
La dottoressa Cristina Cacace dell'Istituto di terapia cognitivo interpersonale diretto da Cantelmi mi accoglie sorridente nel suo studio. Mi osserva, anzi mi scruta con insistenza. «Ora mi becca - penso io - scopre che sono un infiltrato e mi caccia». E invece no. Evidentemente la diagnosi del Professor Cantelmi deve avermi suggestionato. Un po' nevrotico, perseguitato, mi ci sento davvero. Fatto sta che lei mi invita con gentilezza nel suo studio targato Ikea, mi fa accomodare e mi interroga: nome, cognome, età, indirizzo, telefono e stato civile. Io rispondo senza esitare e attendo, anche qui, "la" domanda . Ma la dottoressa Cacace già sa e non c'è bisogno di alcuna premessa.
Saltiamo direttamente ai particolari più intimi: quante volte, e fino a che punto. «Fino a che punto in che senso?», chiedo io. Lei sorride. Mi chiedo se lei, giovane psicologa, crede davvero alle follie e alla violenza di questa benedetta "terapia riparativa" oppure se è li, in quel piccolo studio solo perchè non trova nulla di meglio. Ma i miei pensieri vengono interrotti dalla domanda della dottoressa:
«Davide, i tuoi rapporti omosessuali sono stati solo attivi o anche passivi»? Sento un forte disagio di fronte a quella domanda ricorrente, ossessiva. Mi viene in mente il lato pruriginoso e voyeuristico di chi la pone. Alla fine rispondo come ho già risposto a Don Giacomo e al professor Cantelmi: «Sì, attivo e passivo». Poi racconto anche a lei del mio rapporto conflittuale con mia madre, delle assenze di mio padre e aggiungo che ogni tanto, da piccolo,venivo scambiato per bambina. La giovane assistente di Cantelmi annuisce gravemente e mi fissa l'appuntamento per il test di personalità. «Dopo il test - mi dice prima di accompagnarmi alla porta - sapremo meglio come trattare la tua situazione».
Pochi giorni dopo sono di nuovo lì e scopro che il Test dura circa quattro ore ed è nient'altro che il cosiddetto "Test Minnesota" quello che utilizzano le forze armate di mezzo mondo per selezionare il proprio personale. Seicento domande circa che dovrebbero dare risposte su eventuali deviazioni del candidato: ipocondria, depressione, isteria, deviazione psicopatica, mascolinità o femminilità, paranoia, psicastenia, schizofrenia, ipomania e introversione sociale. Un pout-pourri che, tra le altre cose, dovrebbe mettere in luce le mie tendenze omosessuali. Comunque la dottoressa mi dà i fogli, un penna e mi piazza in corridoio. Inizio a scorrere le domande: «Hai avuto esperienze molto strane?»; oppure, «Ti piacerebbe essere un fioraio?». A quest'ultima rispondo di sì spinto dalla banalità della considerazione; Forse chi sceglie di fare il fioraio, secondo loro, ha una predisposizione ha diventare un po'checca.
D'un tratto vengo colpito e distratto dalla presenza silenziosa di una signora e di un giovane adolescente. Sono madre e figlio. Lui mi sembra particolarmente timido, a disagio. Non posso saperlo, ma potrebbe benissimo trattarsi di un ragazzino forzato dalla madre per arginare, almeno finché è in tempo, la «propria devianza omosessuale». Di nuovo penso a quanto sia angusta questa pratica e a quanta violenza abbia in sé. Penso alla pressione che può subire un ragazzino di 15-16 anni che sta scoprendo la propria sessualità. La preoccupazione, spesso in buona fede, dei genitori e la scelta di far qualcosa per fermare quella "scoperta" piuttosto che accoglierla e sostenerla. Poi la signora e il ragazzino si infilano in una delle tante stanze dello studio degli allievi di Cantelmi e io torno al mio test infinito: «Hai mai compiuto pratiche sessuali insolite?»; «Ti piaceva giocare con le bambole?»; «Qualcuno controlla la tua mente?»; «Hai spesso il desiderio di essere di sesso opposto al tuo?»; «L'uomo dovrebbe essere il capo famiglia?»...
Finite le domande, torno in stanza dalla dottoressa.
Lei ripone le mie scartoffie che già contengono il risultato del mio "grado di omosessualità" e tira fuori una decina di cartoncini colorati da figure bizzarre. Sono le macchie del test di Rorschach. Spruzzi indefiniti di colore, che agiscono in modo inconscio attivando reazioni proiettive. Insomma, di fronte a quelle macchie sono invitato a rintracciare e comunicare figure sensate. Io mi lancio sforzandomi di vedere peni, vagine, ani e così via. Individuo anche un paio di feti appesi per il cordone ombelicale. Dò il peggio di me, cercando di convincere la dottoressa Cacace che la mia sessualità è particolarmente deviata, talmente corrotta e omosessuale da meritare le sue cure. Ma lei, di fronte al mio sproloquio genitale non fa una piega: sfila uno dopo l'altro i cartoncini del test e prende diligentemente appunti.
Nel frattempo si accosta a me ed io non trattengo un'occhiata fugace alla scollatura. Lei, sorpresa, si ritrae, si copre e mi guarda con imbarazzo. Insomma, dopo tutto quel parlare della mia omosessualità probabilmente sono caduto nella banalità di voler riaffermare la mia "mascolinità" di fronte a una donna. Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay. Poi, riprendo con le mie figure...
***
I risultati del test, quanto sono omosessuale?
«Non molto, la tua omosessualità è davvero sfumata», mi dice la dottoressa Cacace mostrandomi una ventina di pagine che contengono la mia "diagnosi". «Omosessualità sfumata», proprio così. A quel punto chiedo maggiori spiegazioni. «Allora, io direi che siamo di fronte ad una nevrosi che ha indotto una deviazione sessuale - continua lei - sarà il professor Cantelmi a spiegarti meglio.
Dopo qualche giorno sono di nuovo nella sala d'attesa del professore. La sensazione è la stessa: un porto di mare aperto a tutti i "casi umani". Cantelmi, cortese e accogliente come sempre, sfoglia i risultati del mio test e mi parla di "leggera nevrosi e depressione" che avrebbe indotto la mia deviazione sessuale, l'uscita dai binari di una sessualità sana e consapevole. «Tu non sei propriamente un omosessuale», mi dice. «La tua mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati all'infanzia». Poi attacca con il conflitto con mia madre e l'assenza di mio padre, da me del tutto inventata, che mi avrebbe privato di una figura maschile forte, una figura di riferimento su cui avrei dovuto modellare la mia sessualità e definire il mio genere. Dunque non sono del tutto omosessuale.
Forse la terapia è già iniziata. Negare la mia omosessualità è il primo passo verso la "guarigione". Probabilmente è una modalità per iniziare a smontare la convinzione del "paziente". Sentirsi dire, «non sei propriamente omosessuale», forse, significa iniziare a destrutturare la personalità dell'individuo, le sue convinzioni e metterlo di fronte al fatto - un fatto certificato da uno psicologo - che la sua omosessualità non è mai esistita. Anzi, che l'omosessualità in sé non esiste se non nei termini di una deviazione dalla norma, dall'unica norma reale: l'eterosessualità.
«A questo punto - continua poi il professore - si tratta di andare a ripescare quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata».
«Che tipo di terapia?» chiedo io. «Una terapia individuale. Ti seguirà un mio assistente, ma io - mi tranquillizza - sarò costantemente informato dei tuoi progressi». «Ma io sapevo di gruppi di mutuo-aiuto, pensavo che mi inserisse lì». «I gruppi ci sono - mi dice lui - ma sono gruppi con persone che hanno una forte devianza sessuale. Non credo che sia la terapia migliore per il tuo stato. Non so, vedremo».
Io non mollo la presa e cerco di scoprire cosa accade dentro quei gruppi. «Sono gruppi di persone guidate da psicoterapeuti che condividono le propria esperienza verso un percorso riparativo», aggiunge frettolosamente Cantelmi. Poi si alza, mi dà il numero di telefono dell'ennesimo psicologo, ovviamente un altro assistente, e mi regala un libro: "Oltre l'omosessualità" di Joseph Nicolosi.
Nicolosi, proprio lui, il guru dei guaritori, il creatore della terapia riparativa, quello che vanta ben 500 casi di «gay trattati», anzi, riparati. «Leggilo - mi dice - troverai situazioni simili alla tua. Persone come te che ce l'hanno fatta».
***
Il libro di Nicolosi
Oltre l'omosessualità" di Joseph Nicolosi è una raccolta di storie di vita. Otto storie di omosessuali corretti, riparati, e un'appendice finale sulle modalità della terapia. Tra loro Albert, un trentenne che «parla con tono leggermente effeminato e la nostalgia - sottolinea Nicolosi - di un bambino perduto». E in effetti il problema di Albert, racconta Nicolosi nel suo libro, è proprio il suo attaccamento al mondo perduto dell'infanzia. Di qui un'illustrazione delle caratteristiche ricorrenti nelle persone omosessuali: attrazione distaccata per il proprio corpo, prime esperienze sessuali con altri bambini, ipermasturbazione, - «gli omosessuali - spiega Nicolosi - si masturbano più spesso degli eterosessuali: è un tentativo di stabilire un contatto rituale con il pene» - e una figura materna opprimente. A quel punto l'obiettivo del dottor Nicolosi è quello di «sviluppare un senso più solido della mascolinità» di Albert. Come? Innanzi tutto affrancandosi dall'opprimente legame materno, coltivando amicizie maschili non sessuali e facendo lunghi giri in bicicletta. Lunghi giri in bicicletta, proprio così. Finalmente arrivano i primi progressi: Albert riesce a controllare la masturbazione, si distacca dalla madre, non salta addosso al suo amico e continua a girare in bici per il quartiere. «Le stanno succedendo proprio delle belle cose», confida il dottore ad Albert. Tre anni dopo Albert ha una voce sicura, ogni inflessione femminile è sparita, si è «staccato emotivamente dagli altri maschi e dalla mascolinità», e si è affrancato dal controllo materno: la colpa originaria, la causa della sua omosessualità; Albert si è anche fidanzato con una ragazza. Insomma è riparato. Ed è riparato perchè «ha afferrato - commenta Nicolosi - il concetto del falso sé»: la falsa identità gay che l'esterno ti impone. «No, non sono gay», è l'ultimo commento di Albert prima di iniziare la sua nuova vita da eterosessuale.
Altra vicenda interessante raccontata da Nicolosi è quella di Tom: «Un uomo straordinariamente bello, alto circa 1m e 80, occhi azzurri e ben vestito». (chissà che anche Nicolosi non tradisca una tendenza omosessuale: il guaritore dei gay che scopre di essere gay, un grande classico già visto mille volte). Tom è sposato, ma separato a causa di una relazione con un altro ragazzo: «Andy, un ventiquattrenne irresistibile». Nicolosi è chiaro con Tom: «Se lei vuole divorziare da sua moglie e iniziare la sua nuova vita con il suo amante gay io non la seguo». Il fatto è che Tom si sente vuoto senza la moglie e i figli e non sa come presentarsi in società, come tirare fuori la sua omosessualità. Un paio di buone ragioni per iniziare la terapia riparativa. Il fatto è che, almeno per Nicolosi, Tom è un omosessuale anomalo: «Non ha problemi di affermazione nei confronti degli altri uomini, in affari è deciso e risoluto ed è estroverso. Ma sotto sotto - svela Nicolosi - ha la fragilità emotiva tipica degli omosessuali». A farla breve, Tom ha una paura nera di perdere la moglie e i figli e ritrovarsi solo perché «le relazioni omosessuali sono senza futuro». A quel punto Nicolosi incontra la moglie di Tom che ha tutta l'intenzione di collaborare per riportare il marito sulla retta via. Un lavoro che riesce, ma i segni dell'omosessualità hanno lasciato la loro traccia indelebile: Tom è Hiv positivo e di lì a poco muore. Il messaggio, meglio, l'avvertimento di Nicolosi è fin troppo chiaro: attenzione, di omosessualità si può guarire ma anche morire.
***
Prove di guarigione
Quando torno nello studio del professor Cantelmi scopro che la mia guarigione è nelle mani di un suo giovanissimo assistente. Anche lui sfoglia i risultati del mio test, e inizia a parlare del percorso che abbiamo davanti. «Ripercorreremo il conflitto con tua madre, l'assenza di tuo padre, cercando di ricomporre le fratture che hanno generato la confusione».
«Confusione?»
«Si, certo, confusione di genere. Ma prima Davide - continua il giovane dottore - parlami della tue esperienze omosessuali». Per la quarta volta mi ritrovo a parlare del mio compagno di Liceo e racconto delle paure del mio matrimonio. Ma la Domanda arriva: «Davide, i tuoi rapporti sono stati completi?». «Vuol sapere se l'ho preso nel di dietro dottore? Sì, due volte», rispondo seccato. Lui sorride imbarazzato. Ma in effetti è proprio quello che voleva sapere. Poi si riprende e attacca. «Vorrei anche sapere le sensazioni che hai provato». Sull'orlo dell'esaurimento per quelle domande così ripetitive e di basso livello, attacco un pilotto infinito. Gli racconto, invento, ogni particolare. Gli parlo dell'eccitazione del rapporto omosessuale maschile, del senso di trasgressione e richiamo alla mente alcuni passaggi particolarmente suggestivi e "scabrosi" descritti da uno dei pazienti del libro di Nicolosi. Lui si beve tutto e prende diligentemente appunti. Finalmente gli ho offerto il "malato" che è in me e mi sembra visibilmente soddisfatto.
Io inizio a provare un senso di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali. Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni "subite"? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne so abbastanza.
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19 commenti:
complimenti per la tua inchiesta....
l'ho ripresa e postata anche sul mio forum, assieme ai successivi articoli di commento e/o polemica apparsi su "liberazione" e non solo....
spero in tal modo di contribuire ancor più alla diffusione di questa notizia, e noto con piacere che molti siti, blog, etc....stanno facendo altrettanto....
non me la sono sentita di commentare, perchè ritengo semplicemente scandaloso che nel 3° millennio ci si debba ancora trovare di fronte a queste situazioni da medioevo....e non riesco a capacitarmi di come, nonostante scienza, tecnologia, etc....abbiano fatto passi da gigante verso il progresso....certe menti umane siano costantemente rivolte all'indietro....nonostante gli errori commessi nel passato, e di cui sembrano non tenere minimamente conto....
ancora GRAZIE....
ciao-ciao....
Intanto voglio esprimerti il mio vivo apprezzamento per quanto hai fatto. Davvero un'azione encomiabile resistere per sei mesi in un ambiente all'interno del quale io non sarei durato sei minuti. Una domanda: ma chi ha pagato per questi sei mesi? I cosiddetti "pazienti" finanziano la struttura oppure c'è qualche organismo alle spalle della stessa? Se sì, è noto quale esso sia oppure non c'è trasparenza neppure in questo?
Sarebbe stato interessante avere un infiltrato che fosse arrivato agli stadi successivi (non è ovviamente un rimprovero, una semplice considerazione. Ribadisco: tanto di cappello per quanto hai fatto). Le attività dei gruppi di "aiuto" mi incuriosiscono molto. Mi sarebbe piaciuto conoscere le metodiche praticate all'interno di essi.
Mi chiedo anche se infiltrando un gay autentico le loro tecniche di screening avrebbero portato a un differente grado di omosessualità rispetto a quella a te "diagnosticata". Visto il metodo di indagine, ne dubito fortemente.
Complimenti ancora.
grazie mille,
è vero, sarebbe stato meglio arrivare fino alla fine, ma un anno non sarebbe bastato...
in ogni caso il nostro dovere l'abbiamo fatto: abbiamo scoperchiato una pentolaccia maleodorante
Davide Varì
caro davide,
sono una giornalista di ivrea e da molti anni mi occupo di realtà "marginali": immigrati, rifugiati, detenuti.
anche se non mi sono mai addentrata specificamente nella tematica gay, so quali sono i problemi (ho diversi amici e alcune amiche gay).
ma so benissimo come la chiesa cattolica tenti di influenzare tutto il settore del cosiddetto disagio. dopo tre anni e mezzo di volontariato alla casa circondariale di torino (sezioni dei malati di aids), nei quali mi sono trovata di fronte a mille difficoltà per il mio modo di intendere ciò che stavo facendo, sono stata costretta a rinunciare a continuare il volontariato perché non mi uniformavo alla logica del volontariato cattolico della redenzione.
il tuo articolo di domenica è molto bello, coraggioso e dà a tutti noi che crediamo che la chiesa non dovrebbe interferire su temi che non le sono propri, che non dovrebbe fare violenza alle persone, una botta di coraggio.
grazie di cuore e tanti auguri di un 2008 un po' più laico.
gabriella bona
Signor Davi', ma lei non si vergogna di scrivere tante bugie diffamatorie? per di piu', il suo, ritengo bieco carrierismo, non la porta a scrivere sui giornali berlusconiani, a cui, per il suo comportamento, mi pare molto affine, ma addirittura su un giornale, che si direbbe comunista, e che e' retto da un partito che dovrebbe essere di sinistra. Anche su questo ci dovremmo interrogare.... Un partito che usa metodi fascisti e stalinisti e' di sinistra? Chi ricorre alla diffamazione ed a strumentalizzare un problema come quello dei diritti degli omosessuali puo' veramente definirsi di sinistra?
mah, giusta la denuncia, ma solo se i cosiddetti pazienti sono stati in qualche modo forzati! e l'inchiesta dov'è? francamente non vedo perchè complimentarmi.
sempre l'anonimo sopra=lu: pur contestando la "terapia riparatrice", non c'è niente da correggere, semmai da accettare prima di tutto per se stessi! mi stona un po' che il sig. varì si sia "offeso" alla domanda se l'ha preso nel didietro -parole sue- espressione che tradisce una latente omofobia :)) no, non mi congratulo per niente!
Non è così importante se Davide Varì personalmente ha problemi con gli omosessuali o no. Il problema è che Rifondazione comunista ha scatenato una violenta campagna contro il diritto fondamentale degli omosessuali egodistonici all'autodetereminazione. Dettagli a www.agapo.net
Mi sembra che le polemiche intorno all'articolo di Davide Varì risentano di quel clima di clericalismo sempre più accentuato che ci sta soffocando.
Se il papa viene invitato alla Sapienza perché si parla di etica, come se etica e sentimento religioso fossero l'unico collegamento possibile, allora abbiamo veramente perso il senso della laicità e del buonsenso.
Ritengo che chiunque si senta malato abbia il diritto di curarsi ma qualora uno non ritenga l'omosessualità una malattia (anche perché non lo è), abbia l'altrettanto insindacabile diritto a non trovarsi tra i piedi persone che la/lo vogliono "curare".
Pensiamo a quanti tranquillanti vengono somministrati ai bambini vivaci per curarli dalla loro vivacità. In un mondo in cui sempre più sono validi SOLTANTO i valori "normali" e quelli concordati con il vaticano, la libertà di tutti è messa a repentaglio.
a Davide un affettuoso abbraccio e continua così.
gabriella bona
Anche io ti faccio i miei complimenti, per il coraggio con cui hai affrontato la denigrazione del diverso che dilaga in quegli ambienti, per la capacità di sopportare giudizi morali che personalmente faccio fatica anche soltanto a leggere.
L'anonimo che tanto si è scandalizzato della domanda sull'essere attivo o passivo forse non si rende conto di come anche tra omosessuali ci si discrimini tramite tale caratteristica. Io da omosessuale dichiarato detesto profondamente questa morbosità con cui viene affrontata una parte così intima del proprio vissuto.
Tanto di cappello invece a Davide Varì e al suo tentativo di sfondare questo ignobile muro di gomma.
PS:
Linkerò anche io questo articolo.
Complimentoni!
Hai avuto fegato a infilarti in quel nido di vipere!!
Io sarei scoppiata dopo il colloquio con il prete, anche se, una volta ho fatto uu esperimento: ero in una scuola femminile del FAES (che è una simpatica sigla per non dire Opus Dei) in quinta liceo, durante l'ora di religione potevamo confessarci, io ho raccontato al sacerdote con dovizia teatrale la mia immaginaria storia lesbica con una mia amica, non una compagna di scuola, ovviamente la scuola era quasi finita, ma Mr prete mi aveva consigliato di rivolgermi ad una psicologa di sua fiducia!
Non ti dico le risate, se non ci fosse stata la grata mi avrebbe sgamata prima di subito, ma visto che non poteva vedermi...
Ovviamente non mi ha chiesto se io fossi innamorata ma ha voluto sapere tutti i dettagli della nostra fornicazione e se avessimo usato oggetti per simulare la penetrazione.
Bravissimo!!
Ottimo lavoro!
baci baci
LaGiulia
ma quale ottimo lavoro, il tuo articolo è un ottimo esempio di pessimo giornalismo...la tua "inchiesta" fa acqua da tutte le parti, è inconsistente e ricca di tue fantasie e tue ipotesi
Per chi ha scritto "resistere per sei mesi" credo che tu debba leggere meglio l'articolo perchè lo pseudo giornalista c'è andato solo 3 o 4 volte.
Andatevi a leggere tutte le rettifiche, un pò di spirito critico non fa certo male.
Dottor Cantelmi è lei? ma che fa si scrive come anonimo? Già l'hanno pizzicata una volta, su un latro blog e lei ha dato la colpa a quella poveretta di sua moglie... la smetta di fare ste figuracce
Comunque, guardate cosa ho trovato, Cantelmi fa pure l'essorcista...
Concluso corso per esorcisti
Si è conclusa oggi a Bagheria una tre giorni di incontri e formazione per gli esorcisti siciliani. L’appuntamento annuale si è svolto presso la Casa del Fanciullo “Giacomo Cusmano” di via Olivuzza.
"Il demonio esiste come ´persona´, come ha sempre detto la dottrina cattolica - ha affermato Don Gabriele Nanni, incaricato della formazione degli esorcisti - è un ente intelligente. Quando si dice ´persona´ di natura spirituale, uno spirito impuro come lo chiama il Vangelo, definendolo dall’azione malvagia che compie". Tra i partecipanti agli incontri anche fra Benigno Palilla, religioso francescano con una lunga esperienza di esorcista, Mons. Sante Babolin, esorcista e ordinario emerito della filosofia della cultura presso la Pontificia Università Gregoriana; Don Leo Pasqua, vice-rettore del Seminario di Palermo; Tonino Cantelmi, diacono e psichiatra.
"A volte – ha spiegato fra Benigno alla Radio Vaticana a proposito di come il demonio ´sceglie le sue vittime´ e del ´meccanismo della possessione´ – è a causa di proprie colpe, di proprie scelte. Per esempio, la partecipazione a riti satanici, a messe nere, patti fatti con il diavolo - ´io ti do la mia anima se tu mi risolvi questo problema´. Nella mia esperienza, - ha detto il frate - ho visto persone di cui sappiamo che da un punto di vista medico quando è in atto una crisi, le potenzialità intellettive e volitive diminuiscono. Ma lì (nei casi di persone possedute dal demonio) ci troviamo dinanzi ad una personalità con una intelligenza acuta straordinaria, che dà delle risposte che vanno al di là della portata della persona. Questo significa - afferma l´esorcista - che non ci troviamo dinanzi ad una patologia, come ad esempio lo sdoppiamento della personalità; ma c´è una personalità da identificare con lo spirito maligno del quale parla la Bibbia”.
Perché, pensate che solo Cantelmi possa essere critico nei confronti di un'inchiesta inesistente, nella quale si afferma di aver fatto 6 mesi di terapia mentre ci si è fermati molto ma molto prima? Leggere bene l'articolo per credere!
Inoltre il giornalista ha dimostrato, tramite il suo articolo, di non sapere cosa voglia dire essere omosessuali. Pensate davvero che bastino due rapporti omosessuali per dirsi tali? O che si possa simulare l'omosessualità rispondendo in qualche modo a dei test? O che non si possa sviluppare un orientamento omosessuale in seguito a esperienze o relazioni traumatiche (non sto dicendo sia sempre così)? Parlate per sentito dire, perché così dicono in tanti o per aver approfondito l'argomento?
Inoltre un po' di conoscenza di quanto viene affermato a livello internazionale sull'argomento non sarebbe male.
Lo sapete davvero se all'estero le terapie di cambiamento dell'orientamento sessuale sono vietate? Ebbene no, non lo sono né dall'American Psychiatric Association né tantomento dall'American Psychological Association.
Ma se non è una terapia vietata, di che stiamo parlando?
Riguardo quello che ho scritto, invece di chiedervi se sono o meno Cantelmi, e non lo sono, invece di criticarmi personalmente, invece di cambiare argomento, provate a riflettere su quanto ho scritto.
Magari non mi rispondete nemmeno, non mi interessa e non ne ho bisogno, non so nemmeno quando (e se) tornerò a vedere se c'è qualche risposta. Ma almeno riflettete!
Per evitare confusioni l'anonimo del commento del 2 marzo sono io Sara, non sono la moglie di nessuno ma solo una lettrice attenta
Mi sa che ti linko!
cOMPLIMENTI vARì! desideriamo rendere noto che in data 19 giugno 2009, su richiesta del Pm della Procura di Roma (che ha indagato sulla bellissima inchiesta del Varì) il GUP del Tribunale Penale di Roma ha rinviato a giudizio il Varì per la bellissima inchiesta, con l'accusa di aver diffamato! Che ne dice l'ordine dei Giornalisti? che ne dicono gli ottimi lettori del varì?
Desideriamo precisare che in data 16 giugno 2009 il Giudice del Tribunale Penale di Roma ha accolto la richiesta del Pubblico Ministero (il giudice che ha condotto le indagini)di rinviare a giudizio il giornalista David Varì, il Direttore del quoridiano Liberazione e l'amministratore delegato della casa editrice. Inoltre ha riconosciuto al prof. Cantelmi e a tutti i professionisti citati nell'articolo del Varì la possibilità di costituirsi parte civile per il risarcimento. Gli interessati si sono costituiti.
ma io dico, santo cielo dr Cantelmi. Le pare normale pubblicare post contro di me sul mio blog? Senza firmarsi per giunta. Io sono davvero troppo democratico. Comunque ci sarà da divertirsi al processo. Ci son cose sfiziosissime che non ho scritto e che mi divertirò tanto a far conoscere ai giudici e alla stampa. E stia attento a invocare l'ordine dei giornalisti che se perde, come perderà, poi qualcuno potrà invocare l'ordine dei medici...
Con affetto,
Davide Varì
vede?, la firma si mette. E' buona educazione
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