sabato 24 maggio 2008

Ponticelli


Sono stato a Ponticelli,
i rom non ci sono più e quanto segue è quello che ho visto...



«Certo, io tengo paura degli zingari. Però, mo che li hanno cacciati, il mio amichetto di classe non ci sta più e a me mi dispiace assai».
Sta nelle parole di Marco - 8 anni, della scuola elementare Enrico Toti - il senso di quel che è accaduto a Ponticelli nei giorni della caccia al rom. Nei giorni dei roghi, della furia popolare e delle strane infiltrazioni della camorra. D'o sistema.
C'è ancora l'accanimento contro gli zingari «scocciatori, ladri e puzzolenti»; ma c'è anche la pietà, «perchè in fondo - dice una giovane donna in attesa che il figlio esca da scuola - non facevano proprio nulla di male. Qui a Ponticelli, il vero problema sono gli spacciatori che arrivano fin sotto la scuola a vendere chilla merda». E poi quella storia del rapimento della bambina a cui non crede nessuno. «Quella ragazza rom la conoscevano tutti. Mi sembra strano. E' tutto molto strano».
Estrema periferia orientale di Napoli - «l'ultima metropoli plebea», diceva Pasolini - Ponticelli è un Giano bifronte. C'è il volto grigio e straniante della zona nuova, quella costruita dopo il terremoto dell'80 e dominata dalle "cinque torri", come chiamano i palazzoni dormitorio di 10 piani che ti trovi sbattuti in faccia appena esci dalla circumvesuviana; e c'è il volto domestico della zona vecchia: case basse, vicoli seducenti e ragazzini che corrono, ridono, ruzzano per strada.
Poi ci sono i dati, le statistiche di Ponticelli. E quelle sono una condanna senza appello: 50mila abitanti e un tasso di disoccupazione formale del 50%. Disoccupazione formale però. I lavoratori in nero che "scennono a faticà" ogni mattina sono infatti tanti e non censibili.
E la camorra ovviamente, 'o sistema. Una camorra che è parte integrante di quei vicoli; che li vive ogni giorno che Dio manda in terra, che li avviluppa nel suo abbraccio subdolo e feroce. Un magma elastico che da e riceve forma da quelle vie. «La camorra napoletana e quella di Ponticelli non sono la camorra organizzata del casertano. Qui a Napoli - spiega Fabio Giuliani, responsabile dell'associazione Libera - c'è una camorra anarchica, disorganizzata».
Ci sono i Sarno, certo. C'è O' Peppe che è il nuovo capo da quando il boss, Ciro Sarno, è in galera. Ma loro, con i roghi, dice il popolo di Ponticelli, non c'entrano nulla. «Quelli prendevano un pizzo di 50 euro a baracca, che interesse avevano a cacciare gli zingari?».
Eppure qualcuno di loro ha partecipato alla spedizione, molti giovani vicini alla camorra hanno dato fuoco alle baracche e hanno guidato la rivolta anti-rom. Ma non parlate di disegno criminale per liberare la zona e i terreni dalla presenza ingombrante degli zingari. Qui a Ponticelli non ci crede nessuno. «Quei terreni - spiega Patrizio Gragnano, assessore del municipio - non li vuole nessuno. Ci sono state già due gare d'appalto, entrambe sono andate deserte».
Insomma, la verità di quel che è accaduto a Ponticelli, forse, è molto più semplice, è molto più banale. La classica dinamica del capro espiatorio. In una zona tanto degradata, isolata e dimentica è bastato una pretesto, un presunto tentato rapimento di una bambina da parte di una "zingarella", per creare il caos, la rivolta popolare, la guerra tra poveri.
E Ponticelli è questa, una polveriera pronta ad infiammarsi alla prima scintilla. Del resto, erano mesi che il fuoco covava sotto le ceneri. Si era formato anche uno strano comitato di inquilini capeggiati dal consigliere piddino Ferdinando Truglio che ogni giorno premeva per trovare una "soluzione" definitiva per quella presenza indecente dei rom di via Malibran, la sua piccola fortezza elettorale.
Ma il consiglio municipale non è riuscito a trovare una soluzione. E nel corso dell'ultima seduta, riferiscono testimoni, l'onorevole Truglio ha sentenziato: «Chella là - i rom ovviamente - è munnezza». E la monnezza a Napoli si brucia.
Strana storia quella del Partito democratico di Ponticelli. Tanto per cominciare di Pd ce ne sono due: il "Pd" e il "Pd Campania democratica".
Una schizofrenia che si è manifestata in tutta la sua evidenza in occasione del famoso manifesto della vergogna: "Via gli accampamenti rom da Ponticelli" era il titolo che campeggiava tra le strade del quartiere. E ancora: «Il continuo aumento di accampamenti rom in diverse aree del quartiere è diventato insostenibile». E poi l'immancabile overdose di "emergenze", la parola più di moda in Italia. «Emergenza sanitaria, emergenza ambientale ed emergenza sociale». Conclusione, il Pd chiedeva l'immediato «smantellamento del campo rom».
«Quel manifesto non è nostro», dice sconfortato Massimo de Luca, l'ultimo segretario della sinistra giovanile della Casa del popolo di Ponticelli. «E' stato un colpo di mano di alcuni iscritti. Io non condivido quel messaggio». Il colpo di mano, è noto, è stato di Giuseppe Russo, consigliere regionale del Pd, escluso dal Senato della Repubblica per una manciata di voti. E lui, Peppe Russo, dopo le critiche che gli sono piovute addosso dai vertici del partito, da Walter Veltroni e da Antonio Bassolino, ha provato a correggere il tiro, a spiegare il senso di quel manifesto e di quel titolo. «Se c'è stato uno sconfinamento questo non è avvenuto a causa di un manifesto che ha rappresentato le continue, reiterate, inascoltate richieste per assicurare, soprattutto ai Rom, condizioni di maggiore civiltà». Insomma, per chi non l'avesse capito, l'Onorevole Peppe Russo ha scritto quel manifesto per il bene stesso dei rom.
Ma il bello della faccenda deve ancora venire: il giorno prima dell'affissione del Pd, il circolo Ponticelli di Alleanza Nazionale aveva tappezzato il quartiere con un manifesto dai toni ben più tiepidi di quelli dettati dall'onorevole Russo. Di qui la reazione di An, la quale, di fronte a quel sorpasso a destra da parte del Pd ha immediatamente prodotto un nuovo manifesto dai toni, per così dire, più espliciti.
Non solo Pd però. A sentirsi in croce per quanto accaduto la scorsa settimana a Ponticelli è un po' tutto il centrosinistra. In quindici anni di gestione del Comune e della Regione Campania, i problemi son tutti lì, ammassati insieme alla monnezza. L'ultima trovata è stata quella del divieto di fumo nei parchi pubblici napoletani per prevenire malformazioni al feto e le malattie polmonari. Il tutto nei giorni in cui la diossina prodotta dai roghi dei rifiuti si infilava nei vicoli della città, nelle case e nelle culle dei neonati.
Poi è arrivato Silvio Berlusconi. La sua parata, il suo show ha molto impressionato gli abitanti di Napoli e di Ponticelli. «Ora sistema tutto», sussurrano i napoletani. E che Berlusconi punti a prendersi la città è un fatto. Ha tagliato i vertici del partito ed ha piazzato gente sveglia, giovane e dinamica. «Abbiamo poco tempo per rimediare a una situazione drammatica. La sinistra deve ritrovare se stessa, tornare a parlare con i cittadini - dice Sempre Fabio dell'associazione Libera - Il problema è che questo centrosinistra è stanco. Anche rifondazione fatica a incontrare la politica», dice mentre entra nella scuola elementare Enrico Toti per prendere i temi sulla legalità che hanno preparato i bambini. «Ecco, lo vedi - dice ancora - è così che Don Luigi Ciotti ci ha insegnato a incontrare la politica. In mezzo alla strada, tra la gente. Tutto il resto so chiacchiere».
Per non parlare di Ponticelli. Sono decenni che il municipio è in mano al centrosinistra. La chiamavano la Stalingrado di Napoli. Ma di quella Stalingrado sono rimaste solo le macerie e le ceneri del campo rom di Via Malibran.

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