giovedì 15 maggio 2008

Tra i rom del Casilino900



Ieri sono stato al campo nomadi del Casilino900 di Roma. Questo è quello che ho visto. Già mi accusano di essermi bevuto il cervello, forse hanno ragione. Ma questo è esattamente quello che ho visto e sentito...

Bambini. Il campo rom più antico di Roma è un covo "pericolosissimo" di bambini. Tra i 600 residenti, la metà ha meno di 14 anni e tutti, dal primo all'ultimo, vanno a scuola. Poi tornano a casa, fanno i compiti, un po' di televisione e infine a nanna. Chi fosse a caccia di facili esotismi metropolitani ne rimarrebbe deluso, così come rimarrebbe deluso chi cercasse di scovare scippatori, stupratori o "rubabambini".
Il Casilino900 non è un campo rom qualsiasi. E' un organo vitale e fertile della capitale che in quarant'anni di esistenza si è integrato quasi perfettamente nel quartiere. Nulla di esotico, certo. Eppure, talvolta, girovagando tra quelle baracche colorate, si ha l'impressione di essere finiti dentro Macondo, la città magica nata dalla penna di Gabriel García Márquez. E poi loro, quei bambini: scalzi, vestiti con abiti logori ma sorridenti; sempre sorridenti. C'è qualcosa di solare al Casilino900. Certo, c'è il disagio di vivere in una situazione igienica sempre precaria, ma c'è anche qualcosa di lieve. Qualcosa che i figli del nostro benessere hanno dimenticato.
Anche don Paolo, che frequenta il campo da circa un anno, parla di qualcosa di dolce, di leggero: «E' un tipo di vita che ci riporta all'essenza». In zona nessuno lamenta scippi nè ha mai sentito parlare di bambini rubati. E sì, quando si parla di Rom non si parla di bambini rapiti: meglio dire rubati. E' un termine favolesco, facile da far capire ai bambini italiani che devono stare alla larga da quella gente lì. Gente pericolosa e sporca. Gente che ruba i bambini.
«Rubare bambini noi? - sorride Hakija, della comunità bosniaca del campo - ma se ogni coppia ha almeno cinque figli. Io ne ho addirittura otto. Perchè dovremmo rubare i figli degli altri?».
«Io non capisco cosa stia succedendo nel nostro Paese - fa eco Najo Adzovic, coordinatore del campo e scrittore - dal giorno della morte della signora Giovanna Reggiani siamo diventati il pericolo pubblico numero uno. Hanno già provato a sgomberarci, ad abbattere le nostre case, ma abbiamo mobilitato tutti i nostri amici e le ruspe, almeno per ora, si sono fermate».
Già, per ora. Ma a sentire i proclami che arrivano dal nuovo inquilino del Campidoglio c'è poco da stare sereni. Lo sgombero, infatti, è sempre lì che aleggia come un ombra, uno spettro. Una spada di Damocle sospesa sulla testa di ognuna di queste persone, su ognuna di queste esistenze. «Io non so più cosa fare - racconta Klej, con un bimbo appeso al collo che giocherella con la sua collana d'oro - ho otto figli. Sono nati tutti qui, sono italiani. Sette di loro vanno già a scuola e il prossimo anno dovremmo iscrivere anche il più piccolo. Se ci cacciano non so proprio dove andremo e non saprei spiegare ai miei figli perchè non ci vogliono e perchè non potranno più andare a scuola con i loro amichetti. Siamo davvero preoccupati, disperati».
Come se non bastasse ieri l'altro è arrivata anche la notizia del commissario straordinario per l'emergenza rom. «Un commissario? - ripete incredulo Najo - noi non abbiamo bisogno di nessun commissario, noi non siamo un'emergenza, noi siamo un popolo pacifico che non ha mai fatto una guerra e che ha subito un olocausto nel quale sono morti, sono stati uccisi decine di migliaia di nostri fratelli. So di dire una cosa forte - prosegue Najo - ma anche Hitler ha iniziato in questo modo. Lo sterminio è stato un punto d'arrivo di un percorso graduale: prima ci hanno demonizzato, poi ci hanno allontanato dalle città privandoci di qualsiasi forma di lavoro. A quel punto, è evidente che qualcuno ha iniziato a rubare per fame, per nutrire i propri figli. E così il cerchio si è chiuso. E' bastata qualche patata rubata per far dire: "ecco gli zingari rubano"». La fine, anche se troppo spesso qualcuno la dimentica, è nota: 250mila rom deportati e uccisi. E'il Porajmos, la "devastazione", la loro Shoah.
E dire che Najo, col sostegno convinto di tutta la comunità, lavora ventiquattro ore su ventiquattro per aprire il Casilino900 al quartiere. Per prevenire possibili attriti e far conoscere ai cittadini del VII municipio il loro stile di vita e le loro tradizioni. «Spesso - dice sconsolato dalle notizie che arrivano da Napoli - invitiamo i compagni di scuola dei nostri figli. E' un modo per integrarci e tranquillizzare il quartiere». Najo si è imposto affinchè all'entrata del campo ci fosse una scritta "ecumenica": «Figli di uno stesso padre». Una speranza.
Eppure la valanga anti-rom che si è abbattuta sul Paese non risparmia neanche loro. Tanto per cominciare, per chiarire che aria tira, hanno staccato la luce. «E' successo d'improvviso ed ora non abbiamo più la corrente elettrica. Ma la responsabilità non è del nuovo sindaco Gianni Alemanno, la luce ce l'ha tolta la giunta precedente». Un modo carino per far capire loro che la presenza lì non era più gradita. Una delle tante stranezze accadute nei giorni dell'omicidio Reggiani, nei giorni in cui Gianfranco Fini, colui che di lì a poco sarebbe divenuto il presidente della Camera, perlustrava le «zone del disagio» con l'elicottero promettendo decine di migliaia di espulsioni; e nei giorni in cui il sindaco di Roma Walter Veltroni moltiplicava gli sgomberi e correva in consiglio dei ministri per convincere l'allora premier Prodi a varare un nuovo decreto esplusioni.
Parole e decreti che piovevano come macini sulle vite di queste persone. «Quei giorni lì - continua Najo - ci sentivamo assediati. Venivamo tutti additati come assassini e stupratori. Ho provato rabbia e dolore. Noi abbiamo un codice secolare che si fonda sul rispetto assoluto delle donne, dei bambini e dei nostri vecchi. Erano e sono accuse che bruciano come ferite».
E mentre Najo si sfoga, un "vecchio", dal volto rugoso è intento a lavorare un foglio di rame. Accanto a lui una montagnola di rifiuti che seleziona con sapienza. Sono i nostri rifiuti, i nostri scarti che vengono ripuliti e riutilizzati in mille modi. Spesso rivenduti al mercatino di zona che i rom del Casilino900 organizzano ogni domenica. Il "vecchio" non parla italiano, ma saluta gentile con i suoi occhi sereni. «Ne ha passate davvero tante», dice Najo.
Fatto sta che il Casilino900 rischia di essere spazzato via. Li accanto sta nascendo la metropolitana e in molti vorrebbero i rom, tutti i rom, fuori dal raccordo anulare, l'anello autostradale che circonda, delimita la capitale. «Sarebbe una vero dramma, saremmo isolati. Gli anni di scolarizzazione e tutti gli sforzi di mediazione e integrazione sarebbero vanificati, cancellati dalle ruspe».
Nel corso degli ultimi sgomberi voluti da Veltroni, e prima che il nostro si dedicasse alla campagna elettorale, una foto ritraeva un caterpillar della Repubblica italiana sopra un libro, un sussidiario delle elementari schiacciato e immerso nel fango. Un'istantanea devastante: dietro quel libro c'era lo sforzo di chissà quante persone, uno sforzo ed un lavoro per l'integrazione durato anni. Uno sforzo che alla fine aveva vinto. Quel libro era di un bambino rom che frequentava la scuola, la nostra scuola. L'istruzione era un suo diritto e i suoi genitori lo avevano capito. E' bastato il battito di un ciglio del sindaco e un colpo di quel caterpillar per vanificare tutto.
Don Paolo, del seminario romano maggiore, frequenta da circa un anno il Casilino900. E' capitato lì quasi per caso e ha deciso che quel campo poteva servire a far crescere i suoi giovani allievi: «C'è un clima molto confuso intorno alla questione dei rom. Io - continua don Paolo - sono convinto che l'esperienza del Casilino900, pur con tutti i suoi limiti, possa rappresentare un modello. Loro iniziano ad autorappresentarsi, a dialogare e confrontarsi in prima persona con gli amministratori per cercare di soluzioni comuni».
Nel frattempo, mentre nel campo iniziano a preparare il pranzo per i bambini che tornano da scuola, Gianni Alemanno continua a proporre il commissario straordinario per i rom. «Qui non stiamo parlando della storica presenze di sinti o giostrai, o la classica presenza di nomadi nel nostro Paese - ha aggiunto il sindaco - ma di un'invasione che si sta determinando nei confini comunitari con dei flussi crescenti». Eppure, in attesa del supercommissario, delle epurazioni, la vita al Casilino900 scorre lieve. «In fondo - conclude Najo - ne abbiamo passate di peggio».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Anni di lavoro, vite spese per arrivare all'aggregazione e poi fare un passo indietro verso l'integrazione e adesso? E adesso si rischia di fare retro front verso l'intolleranza?
No questo non può accadere non è l'Italia che ha avuto il più importante partito comunista del secondo 900, non è l'Italia che ha dato vita alla resistenza al fascismo, non è l'Italia che è emigrata per far ripartire la propria economia.
Ma dimenticavo le parole del "nostro" presidente della camera il dopo guerra è finito.
Aggiungerei ai noi!
Ebbene pur finito, che sia il dopo guerra, le riflessioni fatte in quegli anni sono un qualcosa d’indiscutibile perché hanno creato degli ideali e dei valori scaturiti da esigenze e problematiche reali.
Tornando alla questione che riguarda la popolazione Rom:
La questione della sicurezza è fondamentale e necessaria da trattare in Italia soprattutto nel mezzogiorno ma la sicurezza non va ottenuta con la cacciata di una o di un'altra minoranza etnica, la questione sicurezza sarà risolta quando si garantirà il carcere a chi delinque, ovviamente, c'è poi da garantire che le case circondariali organizzate in modo da poter reintegrare nella società il futuro ex detenuto.
A me sembra tanto che lo sgombero dei campi sia usato un po’ da tutte le parti politiche in modo che possano affrontare il tema sicurezza eludendo la questione fondamentale cioè che nessuna parte politica al momento può offrire un sistema rieducativo.
Che via via riduca almeno il numero delle persone che escono dal carcere "sempre che ci entrino" e sono messe in condizione soltanto di tornare a delinquere.
È palese che il problema non è il rom, l'italiano,l'africano ecc.
Ma chi delinque ed è ancora più evidente che il vero problema per la sicurezza non è il delinquente in se ma il fatto che le carceri in Italia non hanno una funzione rieducativa.
Le vicende di Napoli
Io sono napoletano del quartiere ponticelli. Condanno gli episodi accaduti ma a volte bisognerebbe pensare a quello che c’è dietro determinati accadimenti.
Bisognerebbe chiedersi cosa ha spinto quelle persone ad agire in quel modo esasperato?
Io credo di saperlo ma adesso sono le 2.15 e gli occhi mi si chiudono alla prossima continuo…
Ps l’articolo che hai scritto è di rara bellezza
Saluti
Massimo De Luca